Salzkammergut Trophy 2022
Il giorno dopo...
Non saprei da dove cominciare, forse dall'inizio... Dalla sveglia, l'ennesima nel cuore della notte, per essere in griglia alle 5:00, dopo aver fatto i primi 5 km per provare a riscaldarsi un po', in attesa degli altri, di quei 213 km che mi separavano dal raggiungimento del mio obiettivo.
Sapevo, era una questione di facili calcoli, che per scalare i 7.059 metri di questa sfida ci sarebbero volute oltre 15 ore di gara.
Ma una cosa è programmare la gara, studiare come gestirsi, pianificare il passaggio a ciascuno dei cinque cancelli previsti (che scandiscono i tempo limite intermedio), ripetere nella mente fino ad impararlo a memoria la giusta sequenza di cosa mangiare e quando, preparare le borracce, i sali, lo zainetto con tutto il necessario per gestire problemi tecnici o fisici, etc...
Altra cosa è essere là, in una montagna sconosciuta, da solo per quasi tutto il tempo perché quei pochi compagni di viaggio che il caso aveva selezionato dopo la partenza, una decina di altri bikers da varie parti del mondo, inesorabilmente hanno lasciato... chi fermato dalle tante trappole messe a punto quasi con ferocia dalla montagna, chi dal tempo.
E così, dopo le prime 6 ore e i primi 93 km, al secondo cancello e con circa 3500 metri alle spalle non c'è più nessuno, il gruppo dei circa 400 partenti è stato disintegrato dalla salita e ciò che resta sono tanti atomi, folli solitari che sudano e soffrono da soli, ciascuno sulle proprie gambe. Li incontro salendo, uno alla volta. Spesso non ci si scambia nemmeno uno sguardo, la fatica non lo consente, la testa rimane bassa sul manubrio, conta ogni colpo di pedale.
E allora, si va, si supera o si viene superati in un incessante susseguirsi di salite. Il quarto cancello, al km 128 segna i 4600 metri ed è una gigliottina.
I numeri attaccati alla bici vengono contrassegnati dai giudici di gara con due vernici spray, rosa per chi ce l'ha fatta ed è ancora in tempo, nero per chi è fuori e dovrà poi lasciare.
Io conosco il mio tempo, so di avercela fatta, ma quando il tizio arriva chiudo un attimo gli occhi allo spruzzo .... Rosa! Si va, si sale ancora puntando non alla fine ma al cancello successivo.
I km dal 128 al 150 sono buoni, non si sale quasi, sono di veloce trasferimento. Ma il cancello è al km 156. E così già so che prima di quella tappa ci sarà da scalare il muro più duro. Una salita di circa 600 metri in meno di tre km. Un metro dopo l'altro sono là, sfioro il tempo limite per soli 17 minuti.
A quel punto, quasi spaventate più di me, le gambe si riaccendono. Pare quasi che fin là non fossero state loro a spingermi su. Non so cosa sia successo ma cambio passo, comincio a salire come e meglio di prima. Mancano ancora quasi 60 km, oltre 2800 metri e soprattutto il quinto cancello al km 179.
Le gambe però hanno deciso, oggi la gara si chiude.
E così inizio a recuperare posizioni e rapidamente raggiungo e supero il cancello, stavolta con ampio margine.
Quando appare il cartello dei 35 km all'arrivo è una dose di adrenalina, quella faccina sorridente dello smile che indica i 35 km entra nelle vene e si scarica sui pedali. Aumento ancora il passo e a 20 km dalla fine trovo la forza di prendere il telefono e mandare l'ultimo vocale alla mia famiglia. Per la prima volta, dopo circa 14 ore e mezza di gara, pronuncio quelle parole: oggi ce la faccio, sto arrivando.
Gabriella Di Feo mi stava aspettando al traguardo e la forza magnetica del suo abbraccio ha stracciato la gravità degli ultimi duecento metri di salita rimasti.
Ci sono, il diavolo mi attende sul traguardo con il forcone, ma stavolta la mia anima non l'ha avuta.
SURVIVOR dice la maglia che danno a chi sopravvive a questa giornata.
Voglio chiudere ringraziando le persone dello staff che hanno preparato me e la mia bici per arrivare a quel traguardo Valerio Vincenzo Vitale , Daniele Bazzana e Eugenio De Leonardis.
Giuseppe Calabrese